Gli sbagliati del Dubai di Daniela Palumbo

Perché consiglieresti questo libro a un amico o a un'amica?
Recensione a tre voci: Valentina, Anna ed Elisa

Spesso si considera che i ragazzi non pensino ad altro che a divertirsi; insomma alla loro, alla nostra, età non si hanno problemi, o almeno così la società spesso ci rappresenta: sfaticati che trovano ogni scusa buona per lamentarsi. Ma “gli 8 del Dubai” direi proprio che hanno deciso di abbattere, di distruggere e disintegrare questo pregiudizio; il loro dolore, la loro rabbia, la loro voglia di urlare sono trasudati da queste pagine, entrati nell’inchiostro, tracciando la netta frattura che si delinea nel cuore del lettore. (Valentina – 18 anni)

Tutto ha inizio in un centro commerciale, primo luogo di ritrovo che viene in mente a dei ragazzi per la fuga perfetta da scuola, ma che sarà solo il punto di partenza per una giornata che li segnerà più di quello che credevano. Da compagni ad amici. Perché alla fine è questo che diventano: una manciata di ragazzi che decide di balzare scuola, ognuno con un segreto diverso, ognuno impegnato a nascondere un dolore, si vede diventare in poco tempo un gruppo. Per loro è qualcosa che non si può spiegare a parole ma che li fa sentire bene; sulla spiaggia di un posto qualsiasi si crea un legame fatte di scoperte, risate, lacrime. (Anna – 17 anni)

Ma chi sono questi Sbagliati? Otto anime in cerca di ristoro, di un posto in cui sentirsi a casa, un gruppo in cui sentirsi famiglia. Forse la trovano, forse no, ma certamente l’avventura che vivono colmerà un poco quel vuoto che li attanaglia. Ognuno con l’aiuto dell’altro riesce a richiudere, magari anche solo di poco, quel suo buco nero che ha risucchiato energie e felicità. (Valentina)

Gli sbagliati del Dubai parla di sopravvivenza, di rinascita. Tutto può cambiare, e se a farlo non è ciò che succede intorno a noi può esserlo invece il nostro modo di vederlo, affrontarlo, condividerlo con chi ci sta attorno. (Anna)

In quest’ultimo romanzo di Palumbo, si parla di amicizia, di avventura ma anche di dolore, un dolore che prende varie sfaccettature ma che può attaccare ognuno di noi. (Valentina)

Forse una degli aspetti che ho apprezzato di più è stato notare come i ragazzi si parlavano l’un l’altro: all’inizio timorosi e divisi, pieni di pregiudizi detti senza pensarci, e in realtà vuoti di quelle parole che volevano uscire davvero. Pian piano ognuno di loro ha fatto capolino, prima una confessione timida, poi un racconto al buio; narrare le loro storie è stato come alleggerirsi di un peso, condividerlo, avvicinarsi un po’ di più a quelle nuvole disegnate da Monique. È solo grazie a questo viaggio che vengono fuori quelle debolezze e paure che sembravano inesistenti da fuori. È solo con il buio che ognuno di loro capisce quanto in realtà voglia rimanere attaccato alla vita. Come Maya è “riparatrice” per sua mamma questo gruppo si sorregge a vicenda, incerto, uno più traballante dell’altro ma proprio per questo unito. (Anna)

Devo essere sincera, parlare di questo libro non è stato facile, sono stata molto combattuta sulla direzione in cui avrebbe peso la bilancia: se da un lato abbiamo un romanzo travolgente, emozionante ma anche duro; dall’altra la superficialità con cui sono stati trattati determinati temi è sconcertante. Certo, dalle parole si è compreso il dolore, la sofferenza e in tutta onestà ho apprezzato come il tema della droga e dell’overdose sia stato trattato in un romanzo YA; allo stesso tempo, però, ho notato la voglia in qualche modo di fare troppo. Mettere tutta questa carne al fuoco, senza spiegazioni, senza conclusioni, beh non ha fatto altro che bruciare e con essa sono bruciate anche un po’ le mie aspettative sul libro. Come spesso succede nei romanzi per ragazzi, gli autori sentono il bisogno di alzare le aspettative per scrollarsi di dosso l’ombra della loro categoria di lettori, e spesso ciò porta al voler mettere troppe “tematiche pesanti” senza però dare le adeguate spiegazioni. Questa è l’unica pecca di un libro che a mio parere dovrebbe comunque essere letto: poco meno di 200 pagine e si può percorrere un viaggio nel tortuoso cuore di un adolescente, o anzi in quello di otto, scoprendo forse aspetti anche di noi stessi, che non ci saremmo mai aspettati. (Valentina)

Lo stile veloce e lineare accompagna questa avventura, parole che vogliono essere lette tutte d’un fiato come per loro è stata quella giornata; i dialoghi forse sono meno realistici, a mio parere appesantiti da espressioni come “amo” e “tesoro”. Ho notato sicuramente un rimando con A un passo dalle stelle: la ricerca di sé stessi e di una propria identità in un mondo che ti fa sentire sbagliato, un viaggio con persone “sconosciute” che alla fine non lo sono più. È un libro che consiglierei principalmente alla fascia delle medie, leggero e continuo. (Anna)

Gli sbagliati del Dubai è un libro forte ma molto bello, che tocca i problemi principali che i ragazzi e le ragazze più sfortunati si trovano a dover affrontare. Le sensazioni dei personaggi, la loro storia e il loro modo di essere trapelano dalle parole che essi dicono. Mi è piaciuto molto anche la sensazione di avventura che si percepiva leggendo questo libro. Tutti quanti loro sono rinchiusi nel loro guscio, troppo feriti dalla crudeltà del mondo per fidarsi dei loro amici. Consiglierei questo libro a qualcuno che ha bisogno di sfogarsi su una situazione pesante, per fargli capire che non è il solo o la sola a dover affrontare questi problemi. Siamo tutti umani, tutti facciamo errori, tutti incontriamo sofferenze che riusciamo a superare soprattutto grazie alla nostra forza e al sostegno di chi ci vuole bene. (Elisa – 13 anni)

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In cammino, A un passo con le stelle, con la scrittrice Daniela Palumbo

Festival e dintorni

Lettura e intervista dei ragazzi di Leggere Ribelle

(articolo a cura di Valentina Ganassin, fotografie di Stefano Santini)
Incontro Palumbo sfocato
Sedici giorni, tredici lettere, dieci pellegrini, un cammino. Sono questi gli ingredienti che rendono A un passo dalle stelle, di Daniela Palumbo, un libro di amicizia, di famiglia, di cambiamento e di rinascita.

“Questo libro mi ha fatto sentire in viaggio. Mi sembrava di camminare insieme a Giorgia. Il viaggio è descritto in maniera molto realistica, mi sono sentito parte di esso, per questo mi ha preso molto, mi ha arricchito” ha raccontato Alessandro durante uno dei nostri incontri di Leggere Ribelle. “Mi è entrato talmente tanto che non lo rileggerei più, l’ho interiorizzato completamente”

Nel nostro incontro dedicato alla scrittrice Daniela Palumbo e al suo libro, i lettori ribelli hanno dibattuto, commentato, raccontato cos’hanno provato durante la lettura, cosa è rimasto dentro dopo aver girato l’ultima pagina, cosa loro avrebbero cambiato per non dover mai uscire dalla magia di A un passo dalle stelle. I nostri lettori ribelli sono rimasti affascinati da Giorgia, Viola, Matteo, Giacomo e Gus, tanto che si sono sentiti coinvolti nel cammino a fianco dei pellegrini della storia.  Tutti i ragazzi hanno trovato la scrittura molto scorrevole, piacevole e adatta a una lettura giovanile; inoltre, Anna L. in particolare, ha apprezzato come la scrittrice sia riuscita a riportare il punto di vista di tutti i ragazzi protagonisti del romanzo, la coralità della storia. Laura, poi, ha raccontato la sua scena preferita: “La scena migliore è quando Matteo regala la rosa bianca a Giorgia. Mi è piaciuta tanto perché nel libro non viene presentata come scena principale, ma è una scena lì nell’angolo. Qui si vede come Giorgia stia cambiando, il cammino la trasforma”.

La discussione poi si è spostata sul filo trainante del libro: Alessio e le sue lettere. Le lettere che Giorgia trova nei libri hanno fatto innamorare i nostri lettori ribelli, anche se il finale ha spezzato qualche cuore.

“È bella la cosa delle parole di Alessio. Però lui mi è piaciuto di più mentre leggevo le sue lettere, perché potevo immaginarlo come volevo” ha detto Sofia Si., così come la pensa Marta S.: “All’inizio avevo immaginato Alessio come un ragazzo grande e forte, ma andando avanti con la lettura delle lettere ho capito che era diverso da come credevo io, questo mi è dispiaciuto un po’”. Anche Sofia St. è della stessa opinione: “Alla fine, Giorgia e Alessio si incontrano anche se non credo avrebbero dovuto. Mi sarebbe piaciuto che l’identità di Alessio fosse rimasta segreta; ma in fondo il ragazzo ha avuto una vita difficile, è più maturo della sua età, per questo tendiamo a idealizzarlo come personaggio”. Infine Valentina racconta ciò che secondo lei è il fulcro della storia, distogliendosi dalla discussione sul finale: “A un passo dalle stelle è un libro introspettivo che fa riflettere. Così come il cammino per Giorgia e i ragazzi, le lettere di Alessio sono in realtà più per sé stesso che per gli altri, un modo per redimersi e rinascere”. Anna M. ha aggiunto: “Le lettere mandavano avanti la mia lettura e, anche se scoprire chi Alessio fosse e come fosse fatto, ha spezzato un po’ la magia, ho capito una cosa: la storia si incentrava di più sui giovani pellegrini che in quel momento camminavano, tutti con un bagaglio di problemi che si alleggeriva ad ogni passo del cammino. Questo percorso ha portato i viaggiatori a capire quali sono le cose veramente importanti.” Vorrei quindi concludere la discussione dei ragazzi con ciò che ha condiviso Giulia, una frase potente che riassume tutto il significato del libro: “Probabilmente quando si è attirati dal cammino è perché in quel momento è quello che ci serve”.

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Durante l’incontro i lettori ribelli hanno poi telefonato a Daniela Palumbo per salutarla e farle delle domande in diretta sulla storia e la scrittrice ha risposto con entusiasmo. Di seguito le risposte che Daniela ha dato alle domande dei lettori ribelli.

Perché ha scelto di narrare di un cammino? E perché proprio quello della Francigena?
Ho iniziato a camminare 5 anni fa, e con cammino intendo quelli strutturati con zaino in spalla che durano giorni. Mi sembrò subito un’esperienza da condividere. Camminare ti mette in contatto con la parte profonda, e a volte nascosta, di noi stessi. Il cammino dissotterra, come dico nel libro, rimette in gioco le cose che pensavamo dimenticate, sepolte, e le cose belle anche. È come se il silenzio a cui ci abituiamo in cammino aprisse un varco nelle zone di noi che non frequentiamo più, ma che ci fanno essere ciò che siamo, in fondo. È una esperienza intensa, che porta con sé la fatica e l’ignoto (per quanto con la tecnologia sempre meno ignoto…), ma anche l’attesa di ciò che ci aspetta a fine tappa! Quando una esperienza così totalizzante (non pensate al trekking, è altro) mi tocca corde profonde, penso sempre a scriverne: io scrivo di quello che mi interroga, o di quello che mi cambia. È venuto spontaneo condividerlo nell’unico modo che conosco. Perché la francigena? Perché quando ho voluto iniziare a scrivere storie in cammino era quella che conoscevo meglio. E lì avevo fatto gli incontri più belli.

Molte lettrici ribelli avrebbero preferito che l’identità di Alessio fosse rimasta ignota e segreta. Perché ha deciso di farli incontrare alla fine?
Non ci avevo mai pensato a farlo restare segreto! Forse i ragazzi hanno ragione, sarebbe stato bello lasciare il mistero? Onestamente, non lo so, ma questo mi fa pensare! A dire la verità, mi sentivo così coinvolta che avevo una voglia matta di raccontare Alessio! È il personaggio a cui sono più legata dentro quel libro, dopo Giacomo… però mi chiedo, perché avrebbero preferito il mistero?

I ragazzi hanno apprezzato di più la copertina arancio, quella con la ragazza con lo zaino sulle spalle che sta seduta su una recinzione, perché rispecchia di più il libro e non è incentrata solo su Giorgia, come invece lo è l’altra. Lei quale ha preferito?
Anche a me è piaciuta quella del tramonto, quella dove la ragazza è di spalle. La seconda per intenderci.

img_8170.jpgLa storia delle lettere ha appassionato molto i ragazzi. Perché ha deciso questo tipo di narrazione, attraverso le lettere?
Perché le amo moltissimo. Credo che sia un modo di comunicare che ci dà (dava?) modo di dire tanto di più di noi. La scrittura della lettera è un gesto di fiducia verso un altro. Chi scrive affida qualcosa di sé stesso all’altro, e nello stesso tempo è un modo per guardarsi dentro, come Alessio. Una lettera è come un segreto che resta fra due persone. C’è una intenzione di tradurre a un altro la nostra vita, per questo la lettera è speciale. È come se restasse per sempre fra due persone a sigillare un pezzo di strada percorsa insieme.  In questo libro c’era un doppio binario narrativo: il racconto del cammino con la comunità di viandanti, allegra, chiassosa e piena di sfumature diverse, dall’allegria alla tristezza; ma è un punto di vista corale, comunitario. E poi le lettere: personali, intime, segrete. Le lettere sono un gesto antico (come il cammino e il pellegrinaggio), attraverso cui il lettore entra in contatto personale e profondo con i pensieri di Alessio, ma anche per riflesso con quelli di Giorgia. Fra l’altro, è bene dirlo, la storia di Alessio è invenzione fino a un certo punto, ci sono associazioni che fanno percorsi di cammino con i ragazzi che sono in regime penale di messa alla prova. Dunque il cammino diventa un luogo interiore dove l’introspezione è più facile!

I ragazzi sono rimasti colpiti dal fatto che tutti i protagonisti avessero problemi più o meno gravi con i genitori, come mai ha deciso di riportare quei problemi particolari?
Beh questo non lo so, non ci ho pensato, in effetti. Ovvero, mi sono lasciata guidare da un pensiero più spontaneo, ho pensato ai personaggi, alle loro caratteristiche, e Giacomo e gli altri sono emersi in modo spontaneo. Considerate però il mio punto di vista sul cammino, forse è questo il nodo. Per me è “dissotterrante” come detto, e guarda caso alcuni dei personaggi (non tutti però, Giacomo e Matteo ad esempio!) traggono beneficio dal dissotterrare le loro emozioni. Io che sono una che ha sotterrato e nascosto le emozioni per molto tempo; so com’è bello farle emergere, regalarle a un amico, farle diventare specchio di un’amicizia. E quando fanno male, so com’è sano condividerle con chi sa comprendere e ascoltare. Non è un atteggiamento che ritrovo solo con chi è adolescente, tanti adulti non hanno imparato a convivere emozioni e sentimenti che non riconoscono dentro di sé, e da grandi si fa ancora più fatica a far tornare i conti! Inoltre credo che la crescita personale passa attraverso dei nodi che si sciolgono (durante il cammino), in particolare i ragazzi hanno nodi da risolvere con in genitori. Ognuno ha dei problemi da scavalcare ed è come decide di scavalcarli che conta.

Sappiamo che nella vita lei è sia scrittrice che giornalista: quale dei due mestieri le piace di più? Che interazione c’è fra i due? Un lavoro aiuta e serve all’altro?
Mi piace più scrivere romanzi perché facendo la giornalista devi raccontare la cronaca. Mi sono avvicinata alla scrittura di narrativa proprio per sentirmi libera. Nel romanzo non devi veicolare informazioni, notizie, cronaca. Sicuramente sono professioni che interagiscono. Il mio lavoro di giornalista mi fa incontrare persone e storie che spesso incontro, anche inconsapevolmente, dentro i romanzi. Alessio per esempio ha fatto capolino dentro una notizia di un’associazione che ho raccontato nel giornale… Il romanzo però è un’altra cosa dal giornalismo. In quest’ultimo racconti mettendoti in piedi su un tavolo, vedi le cose dall’alto. Racconti quello che sembra la realtà. Non ti chiedi molto, sei in alto e scrivi ciò che vedi. Sei coinvolto, certo, ma non accade a te. Quando scrivi un romanzo, tu sei in mezzo. Diventi ogni personaggio, positivo e negativo, protagonista o minore, con loro cambi voce e passo, ma sei ciò che scrivi, non ti senti mai un osservatore, come in un pezzo per il giornale: nel romanzo che scrivi sei sempre il protagonista, e l’incantesimo accade per ogni personaggio. La sensazione è di essere tu stesso la storia che scrivi.

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Ringraziamo Daniela Palumbo per i suoi romanzi e per essere stata con noi!

Valentina Ganassin

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